I Marroni di Santa Croce
I Marroni e il nostro progetto
I marroni non sono castagne «grosse», come spesso si è portati a pensare, ma hanno dei requisiti precisi e restano «marroni» anche se di piccola pezzatura. Nello specifico il Marrone di Santa Croce è appartenente alla specie “Castanea Sativa Miller”
Foto archivio fondazione Fojanini
Cenni Storiografici
Già nell’antichità, Greci, Fenici e Romani trasportavano con le loro navi da un Paese all’altro del Mediterraneo, castagne e marroni freschi, secchi o sfarinati. Tale commercio è continuato durante il periodo delle Repubbliche marinare e ha raggiunto, specialmente nell’Epoca Moderna, anche i Paesi dell’Europa centro-settentrionale. Verso la fine "dell’800", in seguito alla crescente emigrazione italiana verso gli Stati Uniti d’America, le castagne hanno seguito gli emigranti, dando vita a un flusso costante di esportazione di frutti “curati”, cioè prima tenuti a bagno per alcuni giorni, in modo da prevenire l’insorgere di muffe e funghi, e poi asciugati e imballati in botti o cassoni di legno che attraversavano l’oceano su piroscafi di linea e mercantili. Ancora oggi, il commercio di castagne verso gli Stati Uniti è molto consistente (si aggira intorno alle 2.300 tonnellate annue) anche se, ai cassoni e ai mercantili, si sono sostituiti i containers refrigerati e i trasporti aerei.
I mercati esteri che tradizionalmente apprezzano il prodotto italiano sono quello francese, tedesco, svizzero, austriaco, statunitense e canadese.
Tratto da Paesi del Gusto
Il Progetto
Il Marrone di Santa Croce, da sempre conosciuto e apprezzato anche fuori dai confini della nostra valle, è diventato merce rara. La richiesta di Marroni in continua crescita, la difficoltà di innestare con successo nuove marze, considerato l’elevata anzianità del maggior numero di piante produttive (molte ormai storiche monumentali), ha fatto sì che intorno a questa coltivazione si creasse grande interesse. Una vera e propria sfida per rinnovare, replicare e riconoscere la tipicità di questa eccellenza del territorio. Assfopiu, con la collaborazione di Fondazione Fojanini, ha prelevato numerosi polloni dalle piante più rappresentative, per storia, produzione e bellezza con l’intento di produrre nuove "marze" da impiantare nelle selve. Il progetto ha preso il via nel 2019 e l'ottimo lavoro del vivaio Baumschule Kösti di Postal (Bz) ha permesso di ottenere le prime 40 marze che sono state impiantate nella primavera del 2021 su terreni sia di privati, che han creduto nel progetto, che comunali.
I protagonisti del progetto
La Castagna: approfondimenti storico botanici
Il castagno è pianta di origine antichissima, essendo tra le latifoglie che fecero la loro comparsa sulla Terra nel Cenozoico, popolando di foreste vastissime regioni. La sua zona di diffusione originaria è molto estesa, comprendendo l'intero bacino del Mediterraneo, i litorali atlantici dell'Europa meridionale e dell'Africa settentrionale, l'arco alpino, l'Asia Minore e spingendosi fino a lambire il Mar Caspio.
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La castagna è dunque presente nella dieta dell'uomo fin dalla preistoria e, in epoca storica, le sue virtù erano ben note e celebrate già dagli autori più antichi. Il greco Senofonte definì il castagno "l'albero del pane" e con il nome di "pane dei poveri" la castagna è stata per secoli la presenza più assidua sulla mensa delle famiglie contadine.
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Il castagno (Castanea sativa, Mill. ) è un albero appartenente alla famiglia delle Fagaceae, da sempre presente nelle regioni meridionali dell’Europa; ultimamente per ragioni fitopatologiche la specie è stata integrata da cultivar di castagno giapponese (Castanea crenata Sieb.) o da ibridi euro-giapponesi.
Il castagno è una pianta a portamento arboreo, con chioma espansa, molto ramificata e di forma rotondeggiante, con un altezza variabile, secondo le condizioni e le varietà, dai 10 ai 30 metri.
Le foglie sono caduche, provviste di un breve picciolo, di forma ellittico-allungata a margine seghettato, lucide, quasi coriacee e lunghe anche fino a 20 cm.
La specie è monoica, cioè con fiori unisessuali, quelli maschili separati dai femminili, ma portati entrambi sullo stesso albero.
I fiori maschili sono delle spighe che a piena fioritura assumono una colorazione gialla, lunghi dai 5 ai 15 cm; i fiori femminili sono isolati o riuniti in gruppi di 2-3 alla base di quelli maschili.
L’impollinazione è in parte anemofila ed in parte entomofila; la fioritura del castagno è ampiamente ricercata dagli apicoltori in quanto la specie è in grado di produrre grandi quantità di nettare e di polline e permette di ricavare un miele scuro dalle caratteristiche amare uniche ed inconfondibili.
Il frutto è un achenio, comunemente chiamato castagna, con rivestimento esterno (pericarpo) di consistenza cuoiosa e colore marrone e pellicola interna (episperma) che può essere esterna o penetrare all’interno del frutto in funzione delle varietà; la forma è più o meno globosa, con un lato appiattito, detto pancia, e uno convesso, detto dorso. Le castagne sono racchiuse in numero di 1-3 all'interno di un involucro spinoso comunemente chiamato riccio, derivato dall'accrescimento della cupola che a maturità si apre dividendosi in quattro parti. Il seme è ricco di amido e per questo molto impiegato nella produzione di farina.
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Il castagno è una specie che si adatta bene ai climi temperati ed è comunemente presente in tutta la Valchiavenna, vegeta su entrambi i versanti spingendosi anche nelle valli laterali (Bregaglia e Spluga) spingendosi nelle zone più riparate anche sopra i 1000 m slm.
Sopporta bene i freddi invernali e subisce dei danni solamente quando le temperature scendono al di sotto dei 20°C sotto lo zero; al contempo è abbastanza esigente in fatto di calore, tant’è vero che la schiusa delle gemme è molto tardiva, così come la fioritura, che si verifica ad inizio estate.
Dannose per la specie sono le abbondanti piogge che si verificano durante la fioritura, in quanto ostacolano l’impollinazione e quindi l’abbondante produzione di frutti.
Per quanto riguarda il terreno, il castagno predilige quelli acidi, ricchi di sostanza organica ed elementi nutritivi, in particolar modo fosforo e potassio; mal sopporta i terreni pesanti, con ristagni di acqua ed eccessi di calcare.
Le principali patologie che in questi anni hanno contribuito alla riduzione delle superfici investite a castagno sono il mal dell'inchiostro ed il cancro del castagno.
Gravi infestazioni si sono verificate negli anni passati da parte del cinipide galligeno, ”Dryocosmus kuriphilus Yatsumatsu” piccolo insetto di origine cinese della famiglia degli imenotteri e particolarmente dannoso per il castagno.
Fortunatamente il lancio da parte di ERSAF Lombardia del suo parassita naturale, il “Torymus sinensis” ha fatto rientrare l’allarme facendo ritornare la situazione produttiva alla normalità.
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A livello vivaistico esistono diverse varietà, riconducibili principalmente a 4 gruppi:
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Le castagne: costituiscono la maggior parte dei castagneti presenti in valle e sono piante molto vigorose, con frutti caratterizzati dall’avere la pellicola che penetra all’interno del frutto; forma, dimensioni e colore variano in funzione della specie.
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I marroni: presenti in valle, anche se in numero molto minore rispetto alle castagne; sono simili a queste, differenziandosi da esse semplicemente per avere la pellicola che non penetra, ma bensì ricopre il frutto; per questo motivo sono molto più apprezzati ed adatti alla lavorazione industriale rispetto alle castagne.
Le cultivar Eurogiapponesi: sono incroci ottenuti da cultivar europee con cultivar giapponesi; hanno un vigore vegetativo nettamente inferiore ai gruppi precedenti e questo consente di ridurre i sesti di impianto e razionalizzare maggiormente il lavoro. Sono state introdotte solo di recente in valle sia perché dimostrano una maggior resistenza al mal dell’inchiostro ed al cancro del castagno,
sia per la pezzatura dei frutti, non altrettanto si può dire delle caratteristiche organolettiche spesso deludenti.
Le cultivar giapponesi: caratterizzate da ridotta vigoria della pianta, necessitano di regolari potature annuali, presenza di impianto di irrigazione e costanti concimazioni; risultano quindi poco adatte al nostro sistema di produzione.
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La diffusione del castagno in Provincia risale a tempi remoti: è molto probabile, anche se mancano certezze, che piante di castagno selvatiche fossero presenti nei nostri boschi allo stato spontaneo; però nella diffusione e nella selezione genetica della specie ha inciso molto la mano dell’uomo, che dal castagno ha da sempre ricavato diverse risorse. La diffusione del castagno in Europa ebbe inizio con i Greci, fu in seguito ampliata dai Romani e proseguì ininterrottamente per tutto il Medio Evo per opera degli ordini monastici.
Anche in valle, su un manoscritto risalente all’anno 1381 si fa già distinzione tra castagne e marroni, questo ad indicare la presenza sul territorio di varietà diverse e l’importanza che rivestiva all’epoca la coltura del castagno.
La risorsa principale era data indubbiamente dalla produzione dei frutti, utilizzati sia per il consumo fresco che essiccati, in quanto rappresentavano un’importante scorta di cibo per la stagione invernale. In misura minore venivano usati come alimento per il bestiame ed erano oggetto di commercio, soprattutto nelle zone a confine con la Svizzera.
Prima dell’arrivo in valle del mais, della patata o del grano saraceno, le castagne, insieme a miglio e panico, hanno rappresentato sicuramente un’ importante fonte alimentare per le nostre popolazioni, anche se non ci sono state tramandate ricette basate sull’uso dei frutti di questa specie.
Di fatto, rimane il risultato di una lunga tradizione dedicata al castagneto ed alla lavorazione delle castagne, con tecniche di essiccazione su graticci e metodi per eliminare la pellicola di rivestimento: basti pensare alla “Pila”o "la Graa" ideata e utilizzata per questo scopo.
L’importanza del castagno non si limitava solamente alla produzione di castagne, ma venivano utilizzate anche altre parti della pianta: le foglie come strame per il bestiame, inoltre il legname, sia come paleria per il sostegno dei vigneti, ma anche per la realizzazione di vasi vinari, bottame, costruzioni edilizie, legna da ardere, produzione di carbone, estrazione di tannini per la concia delle pelli, ecc.
Infine la gestione corretta del castagneto consentiva di mantenere un tappeto erboso, quindi la possibilità di effettuare degli sfalci al fine di ottenere così del foraggio per il bestiame o pascolamento.
La crisi della castanicoltura e di conseguenza la riduzione delle superfici investite a questa specie risale a due secoli fa: infatti nel 1800, con l’espansione della viticoltura ed il commercio del vino, insieme alla coltivazione del grano saraceno, della segale, del mais e della patata, questa coltura ha assunto un ruolo nettamente secondario, principalmente legato all’alimentazione del bestiame.
Nei decenni successivi e fino ai giorni nostri, la castanicoltura ha sempre mantenuto questo ruolo marginale, ma non è mai stata completamente abbandonata, anzi, le castagne sono sempre state raccolte e consumate ad uso famigliare. Soprattutto il castagno continua a rivestire una sua importanza storico-culturale: ne sono prova i lavori a riguardo svolti ogni anno nel mese di ottobre nelle scuole dell’infanzia.
Attualmente, il periodo autunnale tradizionalmente richiama molte persone sia a livello locale, ma anche da fuori provincia, che giungono nei castagneti appositamente per la raccolta dei frutti. D’altra parte il recente aumento di interesse, soprattutto da parte dei turisti, verso la raccolta delle castagne, deve confrontarsi con l’attuale trascuratezza e abbandono dei castagneti, con una maggior pressione delle patologie a carico delle piante, non da ultimo con la concorrenza di altre specie arboree quali la robinia, che condivide lo stesso areale; tutto ciò ha fatto sì che anche una pur modesta domanda di castagne non sia più corrisposta da una adeguata disponibilità di frutti.